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dialogando sul diabete il blog di Ennio Scaldaferri

Pratica clinica ambulatoriale: due vite a confronto, la stessa battaglia, un fallimento e un successo (1° parte)

Posted on | maggio 20, 2012 | No Comments

Oggi l’attività di diabetologo mi ha fatto incontrare 2 persone adulte-anziane, come dire non più giovani, che conosco da un vita, accomunate da un diabete di vecchia data, da una buona sicurezza e stato sociale e dall’appartenere a famiglie solide da tutti punti di vista.

Prendiamo a calci il Diabete senza farci dominareMa vite diversissime per come sono state vissute e per come è stata affrontata la malattia e ancor più per le conseguenze che ne sono derivate per questo:

1)   l’una, un uomo con un diabete di tipo 2 tutto sommato facile da curare, ma mai ben controllato e che sta pagando per questo un prezzo pesantissimo;

2)   l’altra, una donna con un diabete di tipo 1 decisamente più ostico praticamente immune da complicanze.

Lui entra in studio accompagnato come sempre dalla moglie. Coperto dagli occhiali da sole, comprendo che nasconde un volto teso, scuro.

Saluti di circostanza… “dott. Scaldaferri,” - quasi prorompe - “suvvia, mi inventi qualcosa per questo diabete, un farmaco potente, una medicina nuova che mi faccia star meglio, un trapianto della retina, sa gli occhi vanno proprio male….”.

Non è solo una richiesta, un informarsi se c’è qualcosa di nuovo, perché ci sono rabbia e malumore nel suo tono, come se il mondo intero avesse colpa del suo stato.

Lo guardo, sorrido, vedo che è ingrassato ancora, la pancia deborda e un rapido sguardo agli esami, che intanto una moglie stanca mi porge, me ne convince.

Rapidamente ripasso la terapia ipoglicemizzante che sta facendo. E sta facendo proprio tutto, farmaci nuovi, farmaci vecchi, insulina… una mescolanza divenuta oramai inaccettabile, tutto, eccetto quello che veramente gli sarebbe servito per evitare quella grave grave retinopatia che gli sta spegnendo la vista:

mi riferisco al più potente dei farmaci, purtroppo non acquistabile in farmacia, quale appunto é la responsabilità di curarsi, giorno per giorno.

Ne abbiamo discusso inutilmente infinite volte; depresso e abbattuto, com’è, oggi soprassiedo.

Una persona che nella vita “è riuscita”, come si suol dire, che ha affrontato ogni tipo di difficoltà, ma letteralmente sconfitta da un diabete di tipo 2 curabilissimo, reso quasi  incurabile. Già, incurabile.

Lo visito, nonostante tutto sta bene, uno stato cardio-circolatorio buono; senza nefropatia. Giusto un pelo di sensibilità ridotta ai piedi, preludio di guai peggiori, però.

E decido che qualcosa debbo ancora cercare di ribadire: “… A dirla tutta lei è proprio fortunato, sa?” . Mi guarda incredulo. Immagino quel che pensa. “E’ fortunato… perché potrebbe essere cieco, ma anche in carrozzella, in dialisi e rincitrullito e non lo è. Vive normalmente e bada ai suoi affari. Ma facciamo un esempio di quanto poco mette per curarsi: guardi quella coscia, è senza muscolo, sparito, ipotrofico, non lo esercita per niente…!”.

Quasi a scusarsi fa notare che, poveretto, non ne ha colpa, ha male al ginocchio, non può muoversi, per questo è ingrassato. Lo invito a curarselo e ovviamente mi chiede subito la medicina salvifica. “… ma no, lasci stare le medicine” insisto “ha già preso tutto pure per il ginocchio, ma quel ginocchio non ha nulla, deve solo rinforzare quel muscolo…” . “Ah, mi dice, mi consigli un buon tecnico, allora” .

Come dire, ancora un intervento dall’esterno e lui là a ricevere le cure, a farsi curare, passivamente, senza fatica. “… no, nessun tecnico, lo faccia da solo, faccia ginnastica, dedichi tempo a rinforzare quel muscolo… dedichi tempo a curarsi il ginocchio, dedichi tempo a curare se stesso come il resto”. E dicendoglielo, gli mostro cosa deve fare. Come esercitarsi, per ore se necessario, se vuol camminare…

In queste poche battute è racchiusa la storia di questo paziente e di centinaia di altri.

Che sia il quadricipite, gli occhi o il dover dimagrire… la storia è la stessa, datemi un farmaco, datemi la dieta, da chi vado… il luminare che mi salva, una cura naturale, ma mai che chiedano“..che cosa debbo fare in prima persona per curarmi, qual è l’impegno che debbo profondere, a cosa debbo rinunciare…?”

E’ qui che posso parlargli di responsabilità della cura del diabete che non è assumere passivamente tutte le medicine prescritte alla eterna ricerca del farmaco più efficace, dell’ultimo ritrovato.

“…lei possiede il farmaco più potente che ci sia per il diabete” soggiungo “ e non lo prende, non lo ha mai preso, non ne ha mai voluto sapere, lo ha sempre considerato più pesante delle conseguenze…!”.

E’ interdetto ora. Non ha ancora capito.

Riprendo: faccia la sua parte una buona volta, cambi stile di vita, metta il diabete davanti alle altre cose, regoli la sua vita sulla necessità di curarsi, la smetta con le scuse che è troppo impegnato e inizi la cura salvifica: sa perfettamente che essa non è altro che è un’alimentazione corretta e l’attività fisica regolando le medicine di conseguenza…”

“… Lei, non sua moglie, lei si deve fare l’insulina, lei deve imparare quanta farne e quando farla e se val la pena o no associare altri farmaci. Lei dovrà impedire le ipoglicemie e dovrà far tutto gradualmente. E’ troppo pesante questo programma? Non ne ho dubbi, ma altro non c’è ed è esattamente quello che avrebbe dovuto fare da anni, quello che fanno coloro che sanno curarsi. Tempo quattro mesi e butteremo via tre quarti dei farmaci che prende…”

Resta in silenzio.

Non lo farà, mormora tristemente sottovoce la moglie…

Ma io non posso dirgli di più. Fra l’altro dovrò sconsigliargli buona parte di tutte quelle medicine che ogni giorno prende, costose e divenute inutili.

Non sono certo soddisfatto. Un fallimento non è mai solo colpa del Paziente. La mancanza di aderenza alla terapia significa comunque che gli obiettivi di cura non sono stati allineati fra medico e paziente ed é come se ognuno fosse andato per la propria strada, chiusi sulle proprie posizioni. Si, un fallimento. (Continua)

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