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dialogando sul diabete il blog di Ennio Scaldaferri

Il dialogo con il malato è la prima terapia

Posted on | gennaio 3, 2011 | No Comments

Riprendo questa frase da un editoriale comparso su Corriere e Salute alcuni anni fa. Autore il Prof. Veronesi
Fra l’altro si leggeva: “..Pazienti insoddisfatti, escono da uno studio medico, si infilano in un altro e ripetono la scena. E’ il segno di una profonda insoddisfazione verso i modi del sistema sanitario, comune a tutto il mondo occidentale. Uno studio europeo stima in 18 secondi il tempo che intercorre tra l’ inizio del racconto del paziente e il primo intervento del medico, che in genere lo interrompe e formula subito una diagnosi”
E ancora: “… un colloquio aperto di 10-20 minuti, oltre alla visita, tranquillizza, risponde alle aspettative del paziente e apre un canale di comunicazione anche con la psiche della persona… E ha in più oggi un valore clinico e terapeutico, che sfugge ai pazienti ma anche, purtroppo, a molti medici. Invece la storia personale e clinica del paziente è l’ elemento alla base della «buona cura» moderna”.
Se riflettiamo su queste due frasi – dopo 18 secondi scatta la diagnosi e la storia personale è imprescindibile per una buona cura – ci rendiamo conto immediatamente che tutta la nostra organizzazione sanitaria andrebbe rivista, che il modo proprio di porsi come medico dovrebbe cambiare, e che probabilmente il giovamento sarebbe incommensurabile e ci eviterebbe spese di esami in più, ritardi diagnostici ecc. Ma molte schedule organizzative ufficiali non ragionano così. Tre pazienti in una ora, ma molto più spesso uno quarto d’ora, è quello che “tocca” fare molto spesso in un ambulatorio, come disposizione che non può essere elusa, a prescindere da quelle che sono le esigenze del paziente stesso. Come dire che devi far tutto nel tempo che invece andrebbe dedicato soltanto all’ascolto.
Mi piacerebbe ritornare su questo punto. Ricordo una frase che una signora, tormentata da vari affanni, tempo fa mi disse appena sedutasi: “Dottore, io ho già girato tanti specialisti, ma sono venuta perché ho bisogno di raccontarle”. Come dire, lasci stare carta penna e computer e stia ad ascoltarmi.
E io l’ho fatto. Perché di questo aveva bisogno in quel momento: raccontarmi direttamente le sue angosce, le sue paure e la sua situazione familiare. Senza intermediari.

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