Due vite a confronto: e poi entra la Signora W (2°parte)
Posted on | maggio 21, 2012 | No Comments
Il senso del fallimento: mi era rimasto dentro terminata la valutazione precedente. Non ho il tempo di riprendermi del tutto che entra in studio la signora W. Una splendida persona anch’ella non più giovane, riservata, non allegra forse, accompagnata da un marito solidale e sempre presente. Una magnifica e sorridente coppia.
Pensate, 40 anni di diabete ha W. Un diabete di tipo 1 insulino dipendente che oggi curiamo con relativa facilità con le insuline evolute che ci sono, penne, iniettori di tutti i tipi, microinfusori, conta dei carboidrati e quant’altro.
Ma W. il diabete ce l’ha da quando questi strumenti non c’erano, quando il diabete lo controllavi in maniera grossolana con il semplice e noiosissimo esame delle urine e una glicemia ogni 2 mesi, per la qual dovevi andare in ospedale; quando ci voleva un’attenzione incredibile momento per momento se volevi sopravvivere a lungo in buone condizoni.
Eppure con caparbietà e voglia di vivere W. accettò, interpretò e fece suo tutto quello che allora si poteva fare compresa, appena ne capimmo l’utilità, la terapia multi-iniettiva (cioè più iniezioni di insulina al giorno) che consigliavamo al nostro Centro a Treviso quasi prima ancora che venisse introdotta universalmente come una grande innovazione.
E infine l’autocontrollo, la registrazione dei dati, l’attenzione dietetica, le passeggiate quotidiane, insomma una gestione del diabete fatta in prima persona, certo amorevolmente aiutata, che non le ha impedito di mandare avanti la casa in modo inappuntabile, affrontare la gravidanza e la responsabilità della maternità, premiata infine dal potersi godere in ottima stato fisico e mentale il suo splendido nipotino.
“… mi fa un certificato per la patente, Dott. Scaldaferri?” mi chiede timorosa.
E come no? Se non lo faccio a lei! L’oculista che dice? Che gli occhi sono indenni… Possibile? Dopo anti anni di diabete e quando non avevamo neanche l’emoglobina glicata per valutarne il controllo?
Beh, voglio togliermi la soddisfazione di vedere io stesso il fundus. Due goccine per dilatare la pupilla e intanto chiacchieriamo e la visito.
Mi armo di oftalmoscopio e esamino il fundus. Occhio destro: accidenti è vero. Giusto uno sfumato microaneurisma sopra la macula, minimo. Occhio sinistro: un microaneurisma ore 18 e uno in macula.
Quasi non ci credo, riguardo. Ma è così. Un niente meno di niente dopo una vita di diabete. E microalbuminuria assente, rene sano cioè. Che risultato. Mi commuovo e l’abbraccio. I mie Maestri lavorarono proprio bene nell’epoca in cui ci prendevano in giro che a TV facevamo troppa insulina e troppe iniezioni!
Si, un piccolo incidente l’abbiamo avuto, una strana ipertensione, ma in tempo abbiamo scoperto una stenosi delle renali che operata ha messo le cose a posto.
W. è serena. Il marito accenna: ma anche io.. certo anche tu hai avuto i tuoi meriti!
Una vita di impegno passata a curarsi con tenacia e serenità, senza lamentarsene e senza isolarsi dal mondo circostante.
Goditi il tuo nipotino W. Sono felice di aver contribuito a questo successo.
Due vite a confronto. Una diversa assunzione di responsabilità in mano alla stessa equipe: un grande risultato e un fallimento.
Ahimè quanto è difficile…
Tags: aderenza alla terapia > Diabete tipo 1 > fundus > gestione e controllo del diabete > terapia multi-iniettiva
Pratica clinica ambulatoriale: due vite a confronto, la stessa battaglia, un fallimento e un successo (1° parte)
Posted on | maggio 20, 2012 | No Comments
Oggi l’attività di diabetologo mi ha fatto incontrare 2 persone adulte-anziane, come dire non più giovani, che conosco da un vita, accomunate da un diabete di vecchia data, da una buona sicurezza e stato sociale e dall’appartenere a famiglie solide da tutti punti di vista.
Ma vite diversissime per come sono state vissute e per come è stata affrontata la malattia e ancor più per le conseguenze che ne sono derivate per questo:
1) l’una, un uomo con un diabete di tipo 2 tutto sommato facile da curare, ma mai ben controllato e che sta pagando per questo un prezzo pesantissimo;
2) l’altra, una donna con un diabete di tipo 1 decisamente più ostico praticamente immune da complicanze.
Lui entra in studio accompagnato come sempre dalla moglie. Coperto dagli occhiali da sole, comprendo che nasconde un volto teso, scuro.
Saluti di circostanza… “dott. Scaldaferri,” - quasi prorompe - “suvvia, mi inventi qualcosa per questo diabete, un farmaco potente, una medicina nuova che mi faccia star meglio, un trapianto della retina, sa gli occhi vanno proprio male….”.
Non è solo una richiesta, un informarsi se c’è qualcosa di nuovo, perché ci sono rabbia e malumore nel suo tono, come se il mondo intero avesse colpa del suo stato.
Lo guardo, sorrido, vedo che è ingrassato ancora, la pancia deborda e un rapido sguardo agli esami, che intanto una moglie stanca mi porge, me ne convince.
Rapidamente ripasso la terapia ipoglicemizzante che sta facendo. E sta facendo proprio tutto, farmaci nuovi, farmaci vecchi, insulina… una mescolanza divenuta oramai inaccettabile, tutto, eccetto quello che veramente gli sarebbe servito per evitare quella grave grave retinopatia che gli sta spegnendo la vista:
mi riferisco al più potente dei farmaci, purtroppo non acquistabile in farmacia, quale appunto é la responsabilità di curarsi, giorno per giorno.
Ne abbiamo discusso inutilmente infinite volte; depresso e abbattuto, com’è, oggi soprassiedo.
Una persona che nella vita “è riuscita”, come si suol dire, che ha affrontato ogni tipo di difficoltà, ma letteralmente sconfitta da un diabete di tipo 2 curabilissimo, reso quasi incurabile. Già, incurabile.
Lo visito, nonostante tutto sta bene, uno stato cardio-circolatorio buono; senza nefropatia. Giusto un pelo di sensibilità ridotta ai piedi, preludio di guai peggiori, però.
E decido che qualcosa debbo ancora cercare di ribadire: “… A dirla tutta lei è proprio fortunato, sa?” . Mi guarda incredulo. Immagino quel che pensa. “E’ fortunato… perché potrebbe essere cieco, ma anche in carrozzella, in dialisi e rincitrullito e non lo è. Vive normalmente e bada ai suoi affari. Ma facciamo un esempio di quanto poco mette per curarsi: guardi quella coscia, è senza muscolo, sparito, ipotrofico, non lo esercita per niente…!”.
Quasi a scusarsi fa notare che, poveretto, non ne ha colpa, ha male al ginocchio, non può muoversi, per questo è ingrassato. Lo invito a curarselo e ovviamente mi chiede subito la medicina salvifica. “… ma no, lasci stare le medicine” insisto “ha già preso tutto pure per il ginocchio, ma quel ginocchio non ha nulla, deve solo rinforzare quel muscolo…” . “Ah, mi dice, mi consigli un buon tecnico, allora” .
Come dire, ancora un intervento dall’esterno e lui là a ricevere le cure, a farsi curare, passivamente, senza fatica. “… no, nessun tecnico, lo faccia da solo, faccia ginnastica, dedichi tempo a rinforzare quel muscolo… dedichi tempo a curarsi il ginocchio, dedichi tempo a curare se stesso come il resto”. E dicendoglielo, gli mostro cosa deve fare. Come esercitarsi, per ore se necessario, se vuol camminare…
In queste poche battute è racchiusa la storia di questo paziente e di centinaia di altri.
Che sia il quadricipite, gli occhi o il dover dimagrire… la storia è la stessa, datemi un farmaco, datemi la dieta, da chi vado… il luminare che mi salva, una cura naturale, ma mai che chiedano“..che cosa debbo fare in prima persona per curarmi, qual è l’impegno che debbo profondere, a cosa debbo rinunciare…?”
E’ qui che posso parlargli di responsabilità della cura del diabete che non è assumere passivamente tutte le medicine prescritte alla eterna ricerca del farmaco più efficace, dell’ultimo ritrovato.
“…lei possiede il farmaco più potente che ci sia per il diabete” soggiungo “ e non lo prende, non lo ha mai preso, non ne ha mai voluto sapere, lo ha sempre considerato più pesante delle conseguenze…!”.
E’ interdetto ora. Non ha ancora capito.
Riprendo:“… faccia la sua parte una buona volta, cambi stile di vita, metta il diabete davanti alle altre cose, regoli la sua vita sulla necessità di curarsi, la smetta con le scuse che è troppo impegnato e inizi la cura salvifica: sa perfettamente che essa non è altro che è un’alimentazione corretta e l’attività fisica regolando le medicine di conseguenza…”
“… Lei, non sua moglie, lei si deve fare l’insulina, lei deve imparare quanta farne e quando farla e se val la pena o no associare altri farmaci. Lei dovrà impedire le ipoglicemie e dovrà far tutto gradualmente. E’ troppo pesante questo programma? Non ne ho dubbi, ma altro non c’è ed è esattamente quello che avrebbe dovuto fare da anni, quello che fanno coloro che sanno curarsi. Tempo quattro mesi e butteremo via tre quarti dei farmaci che prende…”
Resta in silenzio.
Non lo farà, mormora tristemente sottovoce la moglie…
Ma io non posso dirgli di più. Fra l’altro dovrò sconsigliargli buona parte di tutte quelle medicine che ogni giorno prende, costose e divenute inutili.
Non sono certo soddisfatto. Un fallimento non è mai solo colpa del Paziente. La mancanza di aderenza alla terapia significa comunque che gli obiettivi di cura non sono stati allineati fra medico e paziente ed é come se ognuno fosse andato per la propria strada, chiusi sulle proprie posizioni. Si, un fallimento. (Continua)
Tags: aderenza alla terapia > complicanze el diabete > responsabilità della cura
Pratica clinica. Un collega mi scrive: ha senso prescrivere a un diabetico ben tre ipoglicemizzanti orali e insulina in soprappiù? (4° ed ultimo articolo)
Posted on | maggio 15, 2012 | No Comments
Ho chiuso il precedente articolo domandandomi se esiste un sistema guida per la cura del Diabete di tipo 2 (DMT2) semplice e innovativo.
Sì, dicevo, basta leggere la Banting Lecture del Prof. R. de Fronzo: questa è una “lezione” che viene affidata annualmente ad un grande e meritevole esperto di diabete e quella fatta da De Fronzo (Texas Diabetes Institute, San Antonio, TX) mi ha colpito in quanto ribalta i concetti che solitamente guidano nella terapia del DMT2, li semplifica e mette tutti nella condizione di sapere quello che va fatto: basta che ti intendi di diabete e che conosci i farmaci.
Sintetizziamo intanto i punti sui cui si è generalmente d’accordo già espressi negli articoli precedenti:
- Il DMT2 viene nel comune sentire considerato equivalente al diabete non insulino richiedente,
- cosa che non solo non è vera, ma che è proprio espressione di un grave errore di impostazione del problema diabete,
- l’insulina si può introdurre nella terapia del DMT2 in ogni momento,
- ma è preferibile non aspettare tanto;
- essa può anche esser associata ad altri farmaci,
- ma mal la si vede in compagnia dei classici iporali beta stimolanti;
- l’inerzia terapeutica, il ritardo nel passaggio da un gradino a quello successivo dei vari schemi, è un grandissimo problema;
- il Paziente è sempre e solo oggetto degli schemi terapeutici, ma non ha alcuna voce in capitolo, benché da molte parti si declami che egli sia al centro del processo assistenziale:
- in pratica è al centro in quanto su di lui si riversano le attenzioni, non perché partecipi alle scelte che lo riguardano. Queste vengono fatte e in ritardo solo inseguendo l’emoglobina glicata: se questa si innalza, si cambia schema. Sembra piuttosto facile.
Io credo poi che siano eccessivamente numerosi anche gli schemi e linee guide. Francamente non ce n’è bisogno, per quanto prestigiosi siano i nomi degli estensori.
Dico questo proprio perché mi rifaccio alla lettura di De Fronzo. A studiarla ti accorgi che è davvero un caposaldo, una guida eccezionale. Letta quella, molti schemi diventano superflui per il diabetologo esperto.
In sintesi, ecco i momenti di riflessione:
a) ci preoccupiamo dell’immediato, puntando al miglioramento del controllo del diabete e basta o proiettiamo la situazione patologica del nostro paziente nel futuro preoccupandoci da subito di come essa sarà a distanza di anni?
b) Stabilito uno stile di vita corretto, si adatta questo alla terapia o adattiamo la terapia allo stile di vita?
Se ci preoccupiamo dei 2 suddetti punti allora dovrà essere la patogenesi del DMT2 che dovrà suggerire le indicazioni terapeutiche.
Quindi:
- una terapia veramente efficace per il DMT2 richiede più farmaci in combinazione per tentare di correggere le multiple alterazioni fisiopatologiche (vale a dire quello che non funziona nell’organismo) che sono causa del diabete stesso,
- la cura deve tendere a correggere le alterazioni fisiopatologiche note e reversibili e non deve avere solo per obiettivo di migliorare il livello glicemico;
- prendendo la storia del DMT2 nella sua interezza la terapia va avviata il più presto possibile in modo da prevenire o rallentare la progressiva insufficienza della beta cellule che, val la pena ricordarlo, è presente precocemente e già alla stadio di inadeguata tolleranza al glucosio (cioè quando non c’è ancora il diabete, ma una lieve iperglicemia).
Se teniamo nella dovuta considerazione i punti suddetti, saremo in grado di consigliare la terapia più adeguata esistente per il DMT2.
Abbiamo però bisogno di sapere:
- tipo di diabete da cui è affetto il paziente, durata, stadio clinico e fenotipizzazione;
- età, sesso, BMI, livello culturale e socio economico e attività lavorativa;
- grado di accettazione della malattia, grado di informazione e capacità di gestione del diabete;
- controllo metabolico del DM pre terapia in atto e controllo precedente; complicanze in atto;
- obiettivo terapeutico proposto al paziente in rapporto allo stile di vita che egli vuole tenere o che è costretto a tenere,
- alterazioni metaboliche e terapie concomitanti .
Solo a questo punto la terapia potrà essere suggerita.
Suggerire, attenzione, e non prescrivere, perché è il paziente ad avere l’ultima parola.
In conclusione rispondere alla domanda del collega non è proprio facile: la risposta scaturisce dall’insieme di considerazioni che ho presentate in questi 4 articoli, non dimenticando il costo beneficio.
Tags: Banting Lecture > cura del diabete di tipo 2 > IGT > insulina > iporali > ridotta tolleranza al glucosio
Pratica clinica. Un collega mi scrive: ha senso prescrivere a un diabetico ben tre ipoglicemizzanti orali e insulina in soprappiù? (3-continua)
Posted on | maggio 12, 2012 | No Comments
Un Collega mi ha interpellato sulla terapia del Diabete di tipo 2 (DMT2). L’argomento è tutt’altro che semplice per cui ho preferito suddividere le considerazioni in più articoli (vedi articolo 1 e articolo 2 precedenti) per una più agevole lettura.
Ho già detto, fra l’altro, che esistono più schemi ufficiali per il trattamento del diabete di tipo 2 (DMT2), i quali divergono in alcune parti sia per la scelta sia per la successione nell’uso dei vari farmaci e più ancora quando si arriva a parlare di insulina, anche con contraddizioni non proprio banali.
Francamente, ad esempio, è difficile capire il senso del proporre una sola dose serale di insulina “lenta” (long-acting[1], come si dice ora) o di 2 dosi di insulina premiscelata[2], a colazione e cena. Si potrà anche raggiungere un discreto compenso del DMT2, ma certo a scapito dello stile di vita del nostro paziente, che alla fine ne pagherà il prezzo.
il fatto é che con gli schemi correnti l’insulina non viene suggerita, come ci si aspetterebbe, in quanto il diabetologo – preoccupato per le limitazioni imposte allo stile di vita del paziente in terapia con iporali[3] e finalizzate a che il DMT2 non si scompensi – vuole che il paziente abbia meno costrizioni; neanche per salvaguardare preventivamente la funzione – la capacità cioè di produrre l’insulina – , della beta-cellula pancreatica: sarebbe troppo bello.
La verità è che l’insulina generalmente viene prescritta:
1) o perché il diabete si è oramai complicato e quindi gli iporali non sono più indicati;
2) o perché la beta-cellula non è più in grado di produrre insulina in quanto esaurita, sfinita e stracotta dal sistematico sfruttamento probabilmente fatto per anni con la somministrazione dei farmaci per bocca, degli iporali cioè, specie di quelli che diciamo “vecchi”, ma che sono più che ampiamente usati.
Nell’uno e nell’altro caso… troppo tardivamente.
Ma se così è, e purtroppo è così, come volete che si riesca a controllare la glicemia post prandiale consigliando una premiscelata o una sola dose serale?
In questi casi ci vuole una somministrazione ad ogni pasto. Quindi più dosi. E per di più senza scordarsi che le cose sono ora diventate molto difficili, perché, se si tratta di un paziente con tanti anni di diabete alle spalle e complicanze, bisognerà porre grande attenzione a che il miglioramento avvenga molto lentamente e che ci si tenga a livelli di glicata un po’ più alta. Come dire che dobbiamo si cercare di compensare il DMT2, ma non del tutto, altrimenti potremmo far peggio…! Ma che capolavoro abbiamo fatto!
“… Va bene” ti potresti sentir dire “però possiamo sempre potenziare la terapia aggiungendo un iporale di giorno ai pasti, al posto dell’insulina, tenendo così una sola dose serale di questa… “
E qui proprio i conti non tornano: questo paziente viene già da una terapia fallimentare orale, come volete allora che vada bene aggiungendo un po’ di insulina la sera e mantenendo i farmaci per bocca che già hanno fallito??
Migliorerà per qualche tempo, ma presto sarà punto e daccapo.
D’altronde se il diabetologo “basa la sua difesa” sul cercare di risparmiare le dosi multiple d’insulina, considerandole un peso da evitare al paziente e non una soluzione, sarà inevitabile tentare il tutto per il tutto e le associazioni di farmaci più strane: è da questo atteggiamento che in genere scaturisce la terapia di cui il Collega parlava all’inizio.
Ma questa é solo un piccolo espediente, una terapia che fa tirare avanti per qualche altro mese… e poi tutto torna da capo in una condizione che nel frattempo per il paziente sarà peggiorata.
Questo atteggiamento, questo tentennare, si chiama Inerzia Terapeutica.
Ci sono interi meeting dedicati all’inerzia terapeutica…, come dire quello stare ad aspettare un miglioramento impossibile, prendere tempo insomma. Condannata da molti, ma altrettanto pane quotidiano per troppi.
In tutta onestà va anche detto che se un paziente non è però ligio, se non tiene uno stile di vita adeguato, beh, allora fai pure la terapia che vuoi, tanto falliranno tutte.
Ci potrebbe essere un sistema guida semplice e innovativo, un modo di agire che sia diverso dallo scegliersi uno schema e applicarlo?
Sì, c’è, basta leggere la Banting Lecture di R de Fronzo … From the Triumvirate to the Ominous Octet: A New Paradigm for the Treatment of Type 2 Diabetes Mellitus … Ma ne parleremo nel prossimo articolo (continua).
[1] Insuline a lunga durata di azione: sono insuline la cui azione dura molte ore, ma non un’intera giornata come pretenderebbero (per fortuna, secondo me).
[2] Le insuline premiscelate sono costituite da una miscela di insulina pronta e lenta, in varie proporzioni.
[3] Iporali o Ipoglicemizzanti orali: intendiamo genericamente i farmaci per la cura del Diabete che si assumono per bocca.
Tags: Banting Lecture R deFronzo > fallimento secondario iporali > insulina Long Acting > terapia ottimizzata DMT2 > uso premiscelate
Pratica clinica. Un collega mi scrive: ha senso prescrivere a un diabetico ben tre ipoglicemizzanti orali e insulina in soprappiù? (2 – continua)
Posted on | maggio 11, 2012 | No Comments
Continuiamo la nostra discussione su quanto un Collega mi ha chiesto a proposito della terapia del diabete di tipo 2 (DMT2). Abbiamo visto alcuni aspetti generali nell’articolo di introduzione. Scendiamo ora nei particolari.
Per certi versi non è difficile avviare una terapia, poiché abbiamo a disposizione una ricca documentazione scientifica cui attingere: ci sono, per citarne alcuni, gli schemi proposti dall’ADA (American Diabetes Association) e dall’AACE (Associazione degli Endocrinologi Americani) o dalla IDF (Federazione Internazionale Diabete) e il recente documento di consenso dell’AMD (Associazione Medici Diabetologi).
Questo ultimo si artico si articola in 5 algoritmi e una quindicina di flowchart, cerca di coprire le più varie situazioni, per tutti i gusti e le preferenze, con molti meriti e alcuni difetti fra cui un basso livello di evidenza (livello di prova VI).
Tutti gli schemi consigliano ovviamente il cambio di stile di vita, attività fisica compresa e, se questo non basta, una graduale aggiunta prima di un solo farmaco (che è sempre la Metformina), poi di un secondo e infine di un terzo se l’obiettivo di cura stabilito – differente per i vari schemi – non sia raggiunto: alla fine resta solo l’Insulina.
Ma per quanto riguarda l’uso dell’insulina, le scalette e i vari schemi differiscono abbastanza:
1) per il valore di glicata o di glicemia (pre o post prandiale) che segna l’avvio della stessa;
2) perché può essere inserita dopo il primo o dopo il secondo farmaco;
3) per il numero delle le dosi da somministrare, il tipo di insulina da scegliere e il modo di usarla (da sola o con aggiunta di metformina o di altri farmaci di nuova generazione);
4) perché quasi nessuno consiglia insulina una volta fallito l’uso del terzo farmaco, ma al posto di questo.
Qui va fatta un’osservazione importante: non c’è schema che contempli in verità l’associazione insulina e classici beta stimolanti (tipo la Repaglinide del nostro caso).
La scelta, manco a parlarne, è del diabetologo: nessuno, proprio nessuno prevede che il paziente possa decidere diversamente, che in base al suo stile di vita possa preferire una terapia piuttosto che un’altra, come ad esempio insulina, la quale lascia ben più liberi.
Può sembrare una grossa contraddizione, questa affermazione, ma invece è proprio così: già molti anni fa lo dicevano le linee guida della Joslin Clinic di Boston e quelli… di diabete se ne intendono.
Il discorso si sta facendo complesso e mi rendo conto che per essere più chiari sono necessari una pausa di riflessione e un altro articolo (continua).
Tags: AACE > ADA > AMD > EBM > IDF > insulina > ipoglicemizzanti orali > iporali > linee guida > Livello di evidenza > schemi di terapia